Nei giorni scorsi abbiamo sottolineato l’importazna dell’iscrizione all’AIRE per coloro che trasferiscono la residenza all’estero, per evitare possibili ipotesi di “esterovestizione personale”, che potrebbero causare fattispecie di reati penali tributari di omessa dichiarazione. Ma sola iscrizione all’AIRE non è sufficiente a dimostrare la nuova residenza. Quando ci si trasferisce all’estero, questo deve essere realmente il nuovo centro di interessi peronali.

In base all’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86 (TUIR) si considera realmente un determinato soggetto residente in Italia al verificarsi di una di queste condizioni:

  • È iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
  • Ha il domicilio nel territorio dello Stato. Domicilio definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
  • Mantiene la residenza nel territorio dello Stato. Residenza identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).

Solo ed esclusivamente nel momento in cui non si verificano tutte e tre queste condizioni, si può considerare il soggetto residente all’estero.

Questo, però, non vale per chi si trasferisce nei così detti Paradisi Fiscali, anche detti paesi della Black List. In questo caso (articolo 1, comma 83, lettera a, Legge n. 244/07) il contribuente deve dimostrare il perchè si è trasferito all’estero tramite documentazione dettagliata come onere della prova. Nel caso non ci fosse una chiara ed evidente motivazione, il contribuente risulta residente in Italia.

L’identificazione della residenza non è per nessuno semplice, ma è un atto necessario per identificare i criteri di collegamento dei redditi percepiti dal contribuente. Lo specifica anche la Guardia di Finanza nella Circolare n. 1/2018, secondo cui “l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente rappresenta, da sola, presupposto per essere considerati residenti in Italia. Quella nell’AIRE costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente per essere considerati non residenti. Dovendo comunque farsi riferimento all’articolo 43 del codice civile, che definisce il domicilio di una persona come il luogo in cui essa ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi e la residenza come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Tali nozioni sono alternativamente rilevanti, nel senso che, per stabilire la residenza fiscale, è sufficiente la ricorrenza di una soltanto di esse”.

Un accertamento che riporta la residenza fiscale del contribuente in Italia comporterà sia la riderteminazione del reddito del contribuente sia il suo assoggettamento alla disciplina di monitoraggio fiscale. Questa situazione chiamata “esterovestizione personale”, cioè la riqualificazione della residenza fiscale della persona fisica, potrebbe determinare profili penali tributari. Bisogna fare riferimento alle disposizioni sancite dall’art. 5 D.Lgs. n.74/00 rubricato “omessa dichiarazione”. Sulla base di questa disposizione è punito con la reclusione da 2 a 5 anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte. Si verifiva questa fattispecie quando l’imposta evasa è superiore ai 50 mila euro annui. Non sono calcolati per il reato tributario gli interessi dell’Agenzia delle Entrate.

Si può verificare la non punibilità solo quando i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, prima che il contribuente sia entrato a conoscenza formale del reato (art. 13 co. 2 del D.Lgs. n. 74/2000).

Anche la Cassazione è intervenuta sul tema. Infatti, per anche per gli ermellini l’iscrione all’AIRE non è sufficiente per dimostrare la reale residenza all’estero.

Nella Sentenza n.13114 del 21 marzo 2018 la Suprema Corte ha dichiarato: “L’iscrizione nell’anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia. Questo allorché si tratti di un soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come anche delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi”.

Per non intercorrere in reati e sanzioni, nel momento in cui si decicde di trasferirsi all’estero, è necessaria una consulenza fiscale e tributaria.

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