La pandemia ha insegnato a lavorare tutti da remoto. Sempre più aziende offrono questa possibilità ai propri collaboratori. Inoltre, si sta verificando che molti italiani, impiegati all’estero per imprese straniere, rientino in patria, svolgendo le proprie funzioni lavorative on line.

Nella circolare n.33/E del 28 dicembre 2020 l’Agenzia delle Entrate ha specificato le problematiche fiscali per gli impatriati in Italia. Al punto 7.5 il documento recita: “Il lavoratore impatriato, peraltro, potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o ai sensi dell’articolo 162 del TUIR”.

Stabile organizzazione

Ma cosa si intende per stabile organizzazione? A rispondere a questo interrogativo sono le Convenzioni contro le doppie imposizioni basate sul modello OCSE, secondo cui l’espressione stabile organizzazione comprende:

  • Una sede di direzione;
  • Una succursale;
  • Un ufficio;
  • Un’officina;
  • Un laboratorio, etc.

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) considera la disponibilità e la richiesta di lavoro da casa da parte di un’impresa estera come un fattore importante per determinare l’esistenza di una stabile organizzazione. Per essere considerato una sede fissa di attività, un luogo deve essere permanente e a disposizione dell’impresa. Anche se una parte dell’attività di un’impresa viene svolta in un luogo come la casa di un dipendente, questo non implica automaticamente che quel luogo sia considerato a disposizione dell’impresa.

Secondo le note di orientamento dell’OCSE, la casa del dipendente potrebbe essere considerata una sede a disposizione dell’impresa, solo se viene utilizzata in modo continuativo per svolgere attività di impresa.

La determinazione di una stabile organizzazione richiede un esame approfondito dei fatti e delle circostanze, compresa la natura dell’attività svolta dal lavoratore.

Il paragrafo 19 del Commentario al modello di Convenzione OCSE fornisce un esempio in cui un lavoratore transfrontaliero svolge la maggior parte del proprio lavoro dalla propria casa in una giurisdizione piuttosto che dall’ufficio messo a sua disposizione in un’altra giurisdizione. In questo caso, a meno che l’impresa non richieda esplicitamente l’utilizzo dell’abitazione del dipendente per le sue attività lavorative, non si dovrebbe considerare che quella casa sia a disposizione dell’impresa.

Stabile organizzazione occulta in Italia del datore non residente

Il Commentario all’art. 5 del modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni (§ 18, penultimo periodo) specifica che i criteri da considerare sono essenzialmente tre per individuare una fattispecie di stabile organizzazione occulta:

  • Il fatto che la casa di abitazione sia o meno “a disposizione” dell’impresa localizzata nell’altro Stato
  • Il carattere continuativo o meno del suo utilizzo (c.d. “abitualità“)
  • Lo svolgimento di attività che rientrano o meno tra quelle preparatorie o ausiliarie.

Nel caso in cui venga riconosciuta l’esistenza di una stabile organizzazione occulta, si pone il problema di imputare correttamente all’azienda estera il reddito generato in Italia, secondo le disposizioni dell’articolo 7 del modello OCSE e dell’articolo 152 comma 2 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Questa questione riguarda principalmente la posizione del datore di lavoro in Italia, che potrebbe essere chiamato a pagare imposte e sanzioni, senza impatto diretto sul lavoratore. Tuttavia, il lavoratore potrebbe subire conseguenze indirette come la cessazione del lavoro da remoto o la riallocazione.

Le informazioni finora fornite sono rilevanti per i lavoratori dipendenti in Italia che lavorano per committenti esteri. Secondo l’OCSE, l’esistenza di una stabile organizzazione viene considerata quando la disponibilità del lavoro da casa deriva dalle esigenze dell’impresa. Tuttavia, è importante considerare anche il fatto che molti datori di lavoro esteri scelgono di non operare in Italia attraverso l’identificazione diretta ai fini fiscali e previdenziali o la creazione di una stabile organizzazione o filiale in Italia. Queste opzioni consentirebbero al lavoratore dipendente italiano di essere considerato, ipoteticamente, una stabile organizzazione dell’azienda estera in Italia.

È importante notare che finché questa situazione riguarda pochi dipendenti di un’impresa estera, le possibilità concrete di essere sottoposti a un accertamento fiscale sono ridotte. Inoltre, bisogna prestare attenzione alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore dipendente in Italia. Se il lavoro svolto è principalmente ausiliario e non determinante per l’attività dell’impresa estera, i rischi sono ridotti.

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